Sfincione Palermitano

Da bambino mangiavo lo sfincione preso dallo sfincionaro del Rione Capo, a Palermo che passava abbanniando dalla sua lapa di fronte casa della nonna. Ma capitava anche di aiutare mamma e la comare nel preparare quello fatto in casa, su enormi teglie, col forno a legna nella casa di campagna di amici di famiglia.

Dopo anni di prove, esperienza e affinamento della tecnica ecco la ricetta definitiva dello sfincione.

Trucchi per lo sfincione perfetto

La caratteristica principale dello sfincione è la morbidezza dell’impasto data dalla corretta lavorazione degli ingredienti e sopratutto dalla corretta lievitazione.

  1. Lo sfincione non è una pizza, non deve essere croccante e fragile come le pringles, né duro come una colomba, non deve sapere di lievito, non ha bordo ma è uniformemente condito su tutta la superficie e la conza (il condimento) non deve schiacciare la maglia glutinea impedendo la formazione dell’alveolatura (bolle ineterne). L’impasto deve risultare alto e leggero come una nuvola o meglio come una spugna (o spongia da cui prende il nome).
  2. La lievitazione dell’impasto oltre a dipendere dal tempo di riposo, dipende dalla temperatura e umidità dell’aria che possono agevolare o rallentare la maturazione fino a comprometterla in caso di sbalzi eccessivi o correnti. In caso di basse temperature bisognerà aggiungere qualche grammo di lievito extra e concedere più tempo affinché l’impasto lieviti, ma senza eccedere (o si sentirà il sapore del lievito).
  3. L’impasto è vivo e attivo ed interagisce con l’ambiente circostante. In caso di aria troppo secca (o umida) potrebbe capitare di dover usare più (o meno) acqua. E’ l’impasto che di volta in volta vi chiederà più o meno acqua o farina o richiederà più o meno tempo per aumentare di volume.
  4. I panettieri usano il malto nella maggior parte degli impasti, ma poiché non è sempre reperibile può benissimo essere sostituito dallo zucchero che ha la stessa funzione: nutrire velocemente il lievito e far crescere meglio l’impasto.
  5. L’acqua nella quale andremo a sciogliere il lievito di birra e lo zucchero dovrà essere tiepida (circa 35°C).

Ingredienti per l’impasto

  • 700 g di farina 00
  • 300 g di farina di semola rimacinata di grano duro
  • 2 cucchiai da tavola di olio extravergine d’oliva
  • 25 g di lievito di birra fresco (oppure 8 g di lievito secco)
  • 2 cucchiaini di zucchero (o 5 g di malto)
  • 250 ml di acqua tiepida
  • 20 g di sale

Ingredienti per il condimento

  • 800 g di pomodori pelati in scatola
  • 2 cipolle dorate grandi o 3 medie
  • 200 g di caciocavallo ragusano fresco (in laternativa primosale)
  • 100 g di caciocavallo ragusano semi-stagionato
  • 100 g (o una decina) di filetti d’acciughe sott’olio (se piacciono)
  • 30 g di pangrattato
  • Olio Evo q.b.
  • Sale q.b.
  • Origano q.b.

Preparazione

  1. Setacciate i due tipi di farina in una ciotola molto capiente e aggiungete il sale.
  2. Sciogliete il lievito in una tazza d’acqua tiepida, aggiungete lo zucchero e mescolate bene.
  3. Alle farine aggiungete il lievito appena disciolto, un cucchiaio d’olio ed iniziate a impastare.
  4. Impastate a mano con energia per almeno 15 minuti inglobando tutta la farina senza mai schiacciare o compattare l’impasto.
  5. Aggiungerete a poco a poco l’acqua e il resto dell’olio, fin che ve ne sarà bisogno al fine di raggiungere un impasto omogeneo, elastico, morbidissimo. L’impasto deve risultare leggerissimo e soffice.
  6. Coprite l’impasto con un panno di cotone leggero, pulito, asciutto. Questo può essere lasciato nella stessa ciotola o in un ripiano infarinato.
  7. Fatelo riposare per 2-3 ore almeno in un luogo asciutto, non troppo caldo o freddo e non esposto a correnti.
  8. Nel frattempo preparate il condimento iniziando a scaldare un cucchiaio di olio in una pentola capiente.
  9. Tagliate le cipolle per lungo e mettete in pentola ad appassire per 5 minuti a fuoco medio.
  10. Versate lentamente mezzo bicchiere d’acqua e mescolate le cipolle facendole cuocere per altri 10 minuti. Le cipolle non devono friggere!
  11. Aggiungete alle cipolle la salsa coi pelati ed alzate leggermente la fiamma per qualche minuto.
  12. Aggiungete un po’ di sale, pepe e lasciate cuocere col coperchio e a fuoco lento per 30 minuti mescolando di tanto in tanto. Quando è pronto spegnete il fuoco e lasciate riposare. Se volete potete aggiungere basilico e origano alla salsa, sebbene la ricetta non lo riporti.
  13. Quando l’impasto è sufficientemente lievitato (almeno 2 ore), iniziate ad oleare uniformemente la teglia o le teglie inclusi i lati e sopratutto gli angoli. Cospargete un po’ di pangrattato sul fondo della teglia per evitare che l’impasto si attacchi e si bruci. Ricordate però che la gran parte andrà sparso sopra lo sfincione, come copertura.
  14. Stendete l’impasto sulla teglia tirandolo delicatamente affinché non abbia buchi né dislivelli.
  15. Fate scolare le acciughe e tagliatele a pezzetti.
  16. Grattugiate il caciocavallo stagionato e tagliate a dadini quello fresco.
  17. Distribuite sull’impasto le acciughe ed i dadini di caciocavallo, in modo bilanciato e uniforme.
  18. Lasciate lievitare per altri 30 minuti ed iniziate a riscaldare il forno a 250° C
  19. Versate la conza cioè il condimento di sugo e cipolle precedentemente preparato e spalmatela.
  20. Ricoprite il tutto col caciocavallo grattugiato e poi ancora col pangrattato.
  21. Aggiungete un filo d’olio
  22. Mettete in forno preriscaldato per 20 minuti circa controllando che non si bruci.
  23. Cospargete di origano e servite caldo.

Lo sentite il profumo? Buon appetito!

Sfincione Ricetta Originale

La festa dei morti in Sicilia

La Commemorazione dei defunti è una ricorrenza della Chiesa cattolica celebrata il 2 novembre di ogni anno. Nel calendario liturgico segue di un giorno la festività di Ognissanti del 1º novembre.

Nella chiesa latina il rito viene fatto risalire all’abate benedettino sant’Odilone di Cluny nel 998.
Diffusa anche in America Centrale (non vi è traccia di questa festa nell’America precolombiana) e molto sentita in Messico (dove vengono depositati giocattoli nelle tombe dei bambini), si festeggia anche nelle Filippine ed in Ungheria (dove al termine della giornata vengono regalati dolci e giocattoli). Anche in Italia chiaramente ogni località ha il proprio modo di festeggiare: a Massa Carrara si distribuisce del cibo ai più bisognosi o si offre del vin santo o si mette una collana di mele e castagne bollite al collo dei bambini. Nella zona dell’Argentario si fanno cucire delle grandi tasche nei pantaloni dei bambini poveri perchè potessero metterci cibo e offerte. Vi era inoltre l’usanza di mettere delle piccole scarpe sulle tombe dei bambini defunti perché si pensava che nella notte del 2 novembre le loro anime (dette angioletti) tornassero in mezzo ai vivi. In Abruzzo, conformemente a quanto avviene nel mondo anglosassone in occasione della festa di Halloween, era tradizione scavare e intagliare le zucche e porvi poi una candela all’interno per utilizzarle come lanterne.

E in Sicilia?
La Sicilia la fa da padrone con una tradizione ricca e completa che da un lato possiede tutti gli elementi delle altre tradizioni e dell’altro li arricchisce dal punto di vista dolciario.
Tradizionalmente si narrava che nella notte tra l’1 ed il 2 novembre “i morti” venissero a visitari i propri cari portando ai bambini dei regali. I regali venivano chiaramente
acquistati dai genitori e dai parenti nelle tradizionali “fiere”, che si svolgono in molte parti della Sicilia. Qui vi si trovano bancarelle di giocattoli e oggetti vari da donare ai bambini, che vengono poi nascosti in casa e trovati da quest’ultimi, al mattino presto, con una sorta di caccia al tesoro.
Anche l’usanza di regalare scarpe è presente nella tradizione siciliana con la variante di farle trovare talvolta piene di dolcetti.
E qui si apre il capitolo più cospicuo per la Sicilia.
Fra i dolci vi sono dei biscotti tipici di questadetti “crozzi ‘i mottu” o “uassa ri muartu” (ossa di morto) o i Pupatelli ripieni di mandorle tostate, i taralli ciambelle rivestite di glassa zuccherata, i nucatoli e i Tetù e Catalani, i primi bianchi e velati di zucchero, i secondi (marroni) di polvere di cacao. Frutta secca e cioccolatini, accompagnano ‘U Cannistru’, un cesto ricolmo di primizie di stagione, frutta secca altri dolciumi come la frutta di martorana.
Una peculiarità solo palermitana sono i “Pupi ri zuccaru” statuette di zucchero dipinte, ritraenti figure tradizionali come i Paladini chiamati “pupi a cena” o “pupaccena”, per via di una leggenda che narra di un nobile arabo caduto che li offrì ai suoi ospiti per sopperire alla mancanza di cibo prelibato.
In molte parti della sicilia viene poi preparata la “muffulietta”, pagnottella calda appena sfornata che può essere condita “cunzata” con olio, sale, pepe e origano, filetti di acciuga sott’olio e qualche fettina di formaggio primosale la mattina nel giorno della commemorazione dei defunti.

Molto spesso per orgoglio, cecità o ignoranza si tende a far prevalere una tradizione rispetto ad un altra, o con spirito di prevaricazione si rivendica l’origine di una festa e di una tradizione in modo esclusivo. Personalmente trovo più piacevole (e anche più corretto) trovare quei punti di incontro nelle tradizioni di luoghi vicini e lontani entrati in contatto. In fondo la storia della nostra bella Sicilia è fatta proprio di questi incontri di culture, tradizioni e ricette.
E la Sicilia come uno “sfincione” le ha assorbite e le ha trattenute portando in superficie e facendo riaffiorare il meglio di questi sapori che sono un patrimonio di tutta l’umani

I vulcani siciliani

A causa della sua posizione, a cavallo delle due importanti placche tettoniche, la Sicilia e le isole circostanti sono interessate da un’intensa attività vulcanica. I vulcani siciliani più importanti sono: Etna, Stromboli e Vulcano.

Essi hanno la singolarità di appartenere a tre tipologie differenti: eruzioni di lave basaltiche intervallate a periodi di calma il primo; eruzioni continue, e fontane di lava, il secondo, le cui caratteristiche sono state prese come modello tipologico dagli scienziati del settore, che hanno coniato il termine tipo stromboliano per designare le attività similari dei vulcani terrestri; infine di tipo esplosivo o pliniano il terzo, caratterizzato da lunghi periodi di apparente calma ed eruzioni violente.

Etna-2002
Etna in attività

Tra i vulcani siciliani si considerano inoltre quello sottomarino Empedocle, attivo e situato nella zona del Canale di Sicilia oggi denominata “Banco di Graham”, la cui attività eruttiva nel XIX secolo portò alla comparsa e successiva scomparsa dell’effimera Isola Ferdinandea, e quello al largo di Riposto, scoperto nel 2009 dai ricercatori della facoltà di Scienze geologiche dell’Università di Catania. Esso si troverebbe ad 80 metri di profondità, in un tratto di mare tra i paesi di Riposto e Acicastello; strutturalmente ricorda le linee dell’Etna, con uno sprofondamento che a partire dai 500 metri sotto il livello del mare continua ad inabissarsi fino ai 2500 metri di profondità. Il diametro massimo della caldera sommersa è di 20 chilometri: a paragone l’attuale Valle del Bove dell’Etna è di soli 7 chilometri.

Caponata per colazione

L’alternativa autunnale a brioche e granita, almeno per me questa mattina, sono state caponata e spremuta d’arancia. Proprio così.

La caponata preparata dalla mamma di una mia cara amica è talmente buona e dolce che può tranquillamente sostituire una fetta di cassata o il vostro dolce preferito per iniziare la giornata.
Se pensate che sia una scelta azzardata e pesante vi sbagliate: rispetto alle colazioni così dette “continentali” a base di uova, salsiccia, bacon, wurstel cosa volete che siano delle ottime verdure cotte in salsa con zucchero e aceto?

Inoltre proprio la presenza dello zucchero evita l’effetto acidità e fornisce le giuste energie per partire al meglio. Anche se non tutti i giorni -dovreste avere fra l’altro tonnellate di caponata sempre pronta- è comunque un’esperienza da provare e che oggi mi rende orgoglioso e felice di questo piatto e delle nostre tradizioni e ricette.

E da domani… Iris, rollò alla ricotta, genovesi, cassata, taralli, martorana, chi più ne ha più ne metta e sopratutto ‘a brioscia cu’ u’ gelatu.

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Wiki Sicilia 1

La Sicilia è la più grande isola del Mar Mediterraneo, anticamente era detta Trinacria (dal greco treis, tre e àkra, promontori, per la sua forma pressoché triangolare), poi Sicania e, infine, Sikelìa (Σικελία in greco). È detta anche isola del Sole per la sua identificazione con l’isola descritta da Omero nell’XI libro dell’Odissea, nonché isola-continente per la notevole varietà dei suoi aspetti naturalistici, storici e culturali.

La Sicilia
Sicilia

Amministrativamente costituisce circa il 98% della Regione Siciliana, nell’Italia insularee con i suoi oltre 5.000.000 di abitanti è l’isola maggiore più densamente popolata del Mediterraneo dopo Malta e quella più popolata in assoluto nel Mediterraneo.
Possiede una superficie di 25.426 km², pari  circa all’intera superficie di tutte le isole della Grecia, ed oltre ad essere la più grande isola italiana è anche la più estesa isola del mar Mediterraneo, la settima d’Europa  (terza dell’UE), la quarantacinquesima del mondo.

La prima isola di cui parleremo sarà la Sicilia, perché è la più ricca delle isole e la prima per l’antichità dei miti che si raccontano su essa. (Diodoro Siculo)

 

 

U sfinciuni (Lo Sfincione)

Per preparare lo sfincione ci vogliono farina, lievito, strutto, sale, acqua… e ancora salsa, sarde, cipolle, caciocavallo, mollica, origano e olio… e sopratutto maestria, tempo e pazienza… e sopratutto il forno a legna.

Non è da tutti saperlo fare bene. Da Palermo a Bagheria si contendono i migliori segreti e ciascuno è convinto di farlo meglio degli altri: a tavola però si trova la giusta armonia e il buon umore che ci circonda di fronte allo sfincione caldo, fa dimenticare ogni competizione, ogni vana lotta. Lo sfincione è di tutti!

Da piccolo, dal balcone che dava sul Corso Olivuzza,  sentivo sempre lo sfincionaro che “abbanniava” (imboniva) , spingendo il suo carretto, dal quale si diffondeva e si spandeva tutto il profumo “antico” del vero sfincione palermitano.

Provare a riprodurre quelle sensazioni è impossibile, fare invece lo sfincione in casa, divertirsi a prepararlo e mangiarselo con soddisfazione è possibile.
In rete ci sono tante ricette e suggerimenti, molti improvvisati “chef sfincionari”, molti “copia e incolla” e molti a cui vorremmo dire “ma chi dici vieru?”. Inutile far confusione e far finta di cambiare qualche ingrediente per fare gli “originali” quando c’è già chi ha messo nero su bianco tutto in modo chiaro e lineare. Per la nostra preparazione dello sfincione vi rimandiamo alla ricetta dello sfincione palermitano che abbiamo trovato su buoneforchette.com sito ormai leader di ricette italiane e siciliane e sopratutto affidabile (non vi diciamo che cosa abbiamo trovato su certi siti ridicoli: cosi ri fuaddi!)

Non prendeteci “a male parole” (non biasimateci) se ci rifiutiamo di fare l’ennesimo copia e incolla: sta già tutto scritto lì. Godetevi lo spettacolo!

Sfincione
Lo Sfincione

E tu? U’ sienti u’ ciavuru?

 

Addio vecchio sito

Il vecchio sito sfincione.com così come lo abbiamo conosciuto ed apprezzato in questi anni è andato in pensione (beato lui!) e si godrà il meritato riposo.

Il nuovo sito non avrà soltanto una rinnovata veste grafica ma una diversa “linea editoriale” con meno pretese e più contenuti, più facile da consultare e più sociale.

Non più un rispettabile “elenco” di ricette siciliane ma un blog che tenga viva la cultura e le tradizioni dell’isola e che renda onore non solo alle specialità nostrane ma a tutto ciò che di buono e bello la Sicilia possiede e che può rappresentare.

I dolci, la gastronomia, i monti, i vulcani, le spiagge (quelle non inquinate) e i volti (quelli sinceri e onesti), i proverbi e la lingua, i frutti e i pesci… speriamo di riuscire a raccontare questo paradiso che oggi rischia di scomparire perchè deturpato e usurpato.

Forse un giorno la Sicilia riuscirà a togliersi di dosso gli odiosi stereotipi per cui è tristemente famosa nel mondo e ciascun siciliano che ami la sua terra è chiamato a contribuire, non nella consueta negazione mafiosa delle nefandezze a cui l’isola è sottoposta ma nella riappropriazione di un futuro pulito e orgoglioso.

Ricominciamo insieme… cu’ u’ sfinciuni… naturalmente!

 

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